Le aree grigie della Morale

angelo con bambino, dipinto
Quando ho visto le foto del bambino annegato sula spiaggia e percepito il tremito dell'uomo che ha dovuto raccoglierlo tra le braccia, sono stata zitta: sempre reagisco così davanti alle tragedie, mi pare che qualunque commento suoni inadeguato e irrispettoso.
Sapevo però che avrei ceduto alla debolezza di cercare di saperne di più e questo non mi piace, perché ho capito da tempo che non si tratta di "rispetto" o di "ricerca di consapevolezza", ma di semplice egoismo: la rivelazione del tragico spalanca le porte della mia personale disperazione, porte che io mi sforzo di tenere sempre chiuse, come tutti.

Non riuscendo a trovare conforto nella religione lo cerco altrove, sui giornali, su internet, ma mi accorgo che le frasi di pietosa solidarietà o di condanna, per quanto espresse con toni laici e pronunciate da esperti o da rock star, hanno anch'esse l'unico scopo di risolvere il problema di chi guarda, non di chi muore tradito: non sono neppure di alcuna utilità per chi morirà, in futuro, nelle stesse circostanze. Ecco, adesso che ho pensato anche ai bambini futuri, dal vortice di brutte sensazioni emerge bruciante quella che più odio: l'impotenza.
Vorrei poter fare qualcosa che abbia un senso nella direzione che dico io, che pretendo sia quella giusta, per avere un po' di pace. Andrei sul posto, se ci fosse un posto, e soprattutto se mi ci lasciassero arrivare. Ma non funziona così.
Mi arrovello e decido di scrivere a una mia amica siriana che vive in Italia e la cui famiglia è a Damasco: mi dico che è sempre meglio del non fare nulla. So che è una donna colta e sensibile e io cerco di esprimerle il mio dispiacere, sentendo quanto sia difficile non sembrare ipocriti e banali. Lei è rattristata da tutta la vicenda, ma non accusa nessuno, come forse invece mi aspettavo. Quando le chiedo della sua famiglia mi risponde in modo pacato, quasi rassegnato, che i terroristi formati negli Stati Uniti sono appena giunti dal confine turco e sono freschi e ben armati: sarà difficile vincerli.
Adesso sono anche confusa, ho bisogno di capire, ma ho il sospetto di essere soprattutto in cerca di un giudizio su tutta questa faccenda, perché se c'è una cosa che il giudizio fornisce, è il sollievo. Ma a chi? Non a questo bambino, che forse si chiamava Aylan o forse Alan: i giornali non concordano.
Cerco notizie online, soprattutto in inglese: tutti sfruttano lo scandalo, ma in Italia sembra che si divertano proprio a dare spazio soltanto alla cronaca morbosa e gli approfondimenti non arrivano mai in tv o sui quotidiani principali, se non con giorni di ritardo e solo se qualcuno si è esposto per primo.
Sui giornali esteri invece trovo notizie di taglio diverso: ci sono articoli su una giovane siriana caduta combattendo contro i ribelli per difendere il regime, e dove i profughi sono accusati di fuggire vigliaccamente da una situazione che avevano contribuito a creare con entusiasmo. Molti puntano il dito contro i paesi arabi che non accolgono i loro fratelli musulmani, ma li spingono piuttosto a colonizzare l'Europa, secondo un piano ordito da decenni. Altri affermano che i paesi europei dominanti stanno approfittando di questa ultima disgrazia per essere autorizzati pubblicamente a selezionare le persone da accogliere: prenderanno soltanto le famiglie di rifugiati, lasciando ai paesi che si affacciano sul mediterraneo gli altri emigranti meno gestibili, e dei cui sbarchi non parla più nessuno.

In mezzo a tutto questo compare con regolarità la foto del bambino morto sulla spiaggia. In un filmato, sua zia, che vive in Canada, racconta com'è andata: vivevano da più di due anni in Turchia, come rifugiati. Il padre di Aylan era senza denti per un vecchio problema alle gengive e necessitava di un impianto, il cui costo era di 14.000 dollari. Avevano provato a spedirglieli, ma la Western Union non consente l'invio di somme così grosse in una volta sola. Così il nonno aveva suggerito di approfittare del momento e andare in Europa, dove sarebbe stato più facile ricevere il denaro e risolvere il problema.
Trovo anche un articolo che menziona i grandi e piccoli fenomeni economici che sono improvvisamente apparsi a seguito della drammatica situazione del momento: spariti i turisti dalle coste turche, i locali si sono convertiti in massa alla vendita di giubbotti di salvataggio per chi tenta la traversata. Ancora meglio si vendono dei palloncini per tenere asciutto il cellulare, pronto a telefonare una volta sbarcati.
Dopo avere visto e letto tutto questo, comincio a pensare che è un peccato che il padre di questo bambino sia ancora vivo. Finalmente ho trovato chi incolpare. Non i massimi sistemi, che a furia di dietrologia finiscono per diventare così grandi e lontani da essere nulli: una persona. Sembrava vittima e invece è un carnefice stupido ed egoista, che aveva 4000 dollari in tasca e non ha neppure pensato di comprare un giubbotto di salvataggio ai suoi figli. Ci metto dentro anche il nonno: come può un anziano, un saggio, avere suggerito a un figlio una soluzione così pericolosa a una situazione non realmente di emergenza?
Mi sento quasi a posto, pronta a neutralizzare anche questo triste fatto: l'approfondimento e l'elaborazione aiutano. Purtroppo però mi ricordo improvvisamente di una cosa, che come emigrante che ha vissuto a lungo con emigranti avrei dovuto ricordarmi prima, se tutto questo abbondare d'informazione contraddittoria non mi avesse distratto: le persone che sbarcano sulle nostre coste spesso hanno un cellulare, ma non ci leggono le notizie, che comunque sarebbero in una lingua che non capiscono. Non leggono i giornali, non guardano la tv, non consultano la rete: arrivano da posti dove l'informazione è basata sul passaparola e i morti non parlano, mentre quelli che ce la fanno chiamano a casa trionfanti e sollevati, spesso esagerando la buona riuscita della loro impresa. Il bisogno di dire a chi è rimasto nel villaggio sperduto di avere fatto la scelta vincente è fortissimo e ti porta a sorvolare sui rischi e sulle paure, esagerando gli aspetti positivi.
Forse è andata così, forse al nonno di Aylan le notizie sulla pericolosità della traversata erano arrivate attutite, sommerse dalle notizie di chi invece era arrivato sano e salvo: sono molti di più quelli che ce l'hanno fatta. Non c'è solo chi sale su un barcone come ultima possibilità: questo è quello che ci compiacciamo di pensare noi, abituati alla sicurezza e allergici al fatalismo, perché ci piace immedesimarci e essere comprensivi, anche quando non abbiamo compreso nulla.
Leggo che sulle spiagge di Bodrum i maschi parlano tra loro di prezzi e di sistemi per evitare la polizia turca. Nessuno ha convenienza a ricordare le disgrazie: non chi vuole partire, qualunque sia il motivo, non chi lucra su queste traversate. I bambini e le donne, pavide per definizione e bisognose di una guida, non hanno certo voce in capitolo sulle decisioni degli uomini.

Adesso che ho pensato a tutto questo però, mi accorgo di essermi incastrata da sola e di non ritrovarmi d'accordo con me stessa: la foto del bambino è ancora lì e mi fa ancora male.
Quando va così, in faccende come questa ho una mia personale soluzione finale: scrivo a un mio amico israeliano, giornalista, che si occupa di politica internazionale. Anche lui, come altri che ho conosciuto recentemente, è stato minacciato e censurato, ma da fronti opposti e contemporaneamente: lui sostiene che quindi si neutralizzano e continua a scrivere quello che gli pare, tirando mazzate su qualunque cosa non gli vada a genio. Dice spesso che nessuna "linea di pensiero" può essere sempre giusta: la conservazione della coerenza all'interno della "linea" obbliga chi la sostiene a periodici compromessi che vanno a discapito della verità. Il suo modo di ragionare è aspro e brutale e non risparmia nessuno: quando gli scrivo mi sudano sempre un po' le mani, perché so che sto rischiando una risposta che non mi piacerà. Ciononostante lo faccio, a volte, proprio per avere uno stimolo diverso, che mi aiuti a pensare.
Questa è parte della sua risposta, che mi pare giusto tradurre, ringraziandolo, anche se un po' a denti stretti.
"Il problema di voi cristiani è la vostra mentalità ipocrita e ottusa, costruita su quadri vecchi di centinaia di anni che mostrano soltanto piccoli angeli innocenti e grossi diavoli cattivi: non riuscite a vedere altro, le aree grigie della morale vi spaventano e vi confondono, vi spingono alla facile soluzione dello schierarsi a favore o contro per risolvere unicamente il vostro turbamento. (...) Condannate la sottomissione delle donne musulmane e al tempo stesso credete che una donna musulmana al termine della gravidanza salga spontaneamente su un barcone: date la cittadinanza a suo figlio e adottate suo marito applaudendolo per il suo coraggio. Usate i vostri figli nelle lotte contro l'ex coniuge e li uccidete regalando loro inutili automobili veloci, ma vi scandalizzate se qualcuno espone i propri figli al pericolo per ottenere un sussidio. (...) La famiglia del bambino morto che vi piace tanto, non scappava inseguita da fuoco e fiamme: ha colto quella che credeva un'occasione per spostarsi in occidente, verso dentisti e scuole migliori. Il padre non ha comprato giubbotti di salvataggio ai suoi figli, venduti a ogni angolo di strada oramai, semplicemente perché non li ha ritenuti necessari: questo fa improvvisamente di lui un uomo empio per voi, che subito passate dalla pietà alla condanna. Ma cosa condannate? La scelleratezza e la superficialità venata di presunzione? Questi sono i veri, storici drammi dell'umanità, che tutti sfruttano e perpetuano a turno mentre nessuno si prende la responsabilità di curarli. Guerre, povertà e martirio non sono che la loro conseguenza."

*Dopo numerose proteste mi piego a specificare una cosa che non solo mi pareva ovvia, ma importante, proprio perché consentiva di riflettere sulla reciprocità: "Voi cristiani" non si riferisce alla religione: è una definizione alternativa di "voi occidentali" come macro-area geografica, culturale e politica che è stata influenzata da principi religiosi comuni. Quando diciamo "i musulmani" ci stiamo riferendo a nazioni e culture diverse che pur tuttavia ci paiono accomunate da dei principi sia religiosi che culturali. Stessa cosa fanno "gli altri" con noi. 


Loredana de Michelis

2 commenti:

  1. Bell'articolo, ma non si capisce bene da che parte stai: prima sembra che ti fa pena il bambino, poi che ti stanno antipatici i cristiani.

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    1. Sto dalla parte di chi non ha troppa fretta di prendere una posizione basandosi soltanto sull'effetto emotivo di certe immagini e preferisce anche chiedere l'opinione di chi ne sa di più. I cristiani non mi stavano antipatici, fino a quando non ho notato quanto siano talebani nel reagire anche solo alla vaga sensazione di essere stati criticati.

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