Inside Out: l'insegnamento prezioso per tutti.

locandina film inside out
Con la consulenza dello psicologo e neuroscienzato Dacher Knelter (http://ischool.startupitalia.eu/38035/video/inside-out-disney-pixar-significato/) e la fantasia ironica e imprevedibile che ha sempre caratterizzato la Disney e poi la Pixar, Inside Out diventa un film interessante che forse andrebbe guardato un paio di volte, per coglierne meglio alcuni aspetti.

Riley (una bambina di 11 anni) sta per affrontare un passaggio difficile della sua vita, durante il quale perderà alcuni dei ricordi più confortanti e perfetti legati all'infanzia. La perdita dei ricordi e le delusioni che si accumulano avvieranno una distruzione progressiva e spettacolare delle "isole di valori" su cui è basato tutto il panorama della sua personalità, che Riley ora dovrà ricostruire in modo più complesso e articolato.
Gioia, Tristezza, Paura, Rabbia e Disgusto (fondamentale, quest'ultimo, per tenerci lontano da cose poco "vitali" e da cibi non adatti) sono i sentimenti che, nella "Consolle mentale" dei protagonisti, si alternano, collaborano e a volte entrano in conflitto, portando avanti la vita e determinando anche il modo in cui gli eventi sono percepiti: una rappresentazione vivida e facile della vita emotiva, che può tornare utile a tutti.
Come si potesse fare una descrizione così coinvolgente del processo di maturazione psicologica di un individuo e dei contrasti che lo attraversano, per mezzo di un cartone animato, è difficile da concepire, tanto quanto l'amico immaginario di Riley, fatto in parte di zucchero filato, con la coda di gatto, la faccia da elefante, ma anche un po' delfino.
La semplicità grafica dei personaggi - forse un po' deludente se guardata dal punto di vista della tradizione artistica di queste case cinematografiche - li rende da un lato subito familiari ai piccoli spettatori abituati ai Minions e Peppa Pig, e dall'altro adatti a un marketing che passa principalmente attraverso gli emoticons dei social network. L'analisi chiaramente commerciale, fatta a tavolino, forse anche per il soggetto stesso del film, non è un peccato, se il populismo si sposa così lussuosamente con la creatività, la fantasia e la cultura di chi riesce a vedere che le tipologie rappresentate sono (anche raffigurativamente) le stesse che andavano già di moda tra gli antichi greci: questo ci dice che nulla più s'inventa, ma la qualità delle re-interpretazioni fa comunque una bella differenza.
Geniale e illuminante l'evento centrale, durante il quale Gioia e Tristezza sono assenti dalla "consolle" di comando: Riley si ritrova in una stato di vuoto emotivo capace solo di rabbia o paura, ma non di empatia e sul suo viso è possibile riconoscere le espressioni di molte persone "perdute" che incrociamo mentre bivaccano agli angoli di una stazione.
Alla fine del film c'è un breve scorcio sulla nuova "consolle" di Riley quasi dodicenne, che è più ricca e complessa e contiene un pulsante rosso che si chiama "Pubertà" di cui nessuno sa ancora il significato, lì in laboratorio. Nessuno però si preoccupa: cos'altro potrebbe ancora succedere dopo tutti quegli scossoni?
Usciti dal cinema, in tanti si sono soffermati a cercare di interpretare quale personaggio fosse in quel momento padrone della consolle nella testa propria e degli altri. Non avevo mai visto così tanta gente cercare di comprendere il prossimo: mi è venuta un po' di tristezza e un po' di disgusto per come ci siamo ridotti; poi ho pensato che potevo semplicemente lasciare che Gioia passasse ai comandi per vedere le cose in modo diverso.
Da non perdere, i titoli di coda con l'ultima scena finale: una chicca pura tradizione Pixar.

Loredana de Michelis


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