La retorica intorno al gesto della Boldrini è peggio del bullismo.

uomo schiacciato da un pollice
Ventiquattro ore di turbamento dopo che Laura Boldrini ha pubblicato una foto che mostrava un piccolo collage di insulti, per la maggior parte a sfondo sessista, che lei si becca ogni giorno per il solo fatto di esistere. Poi, i saggi si sono messi all'opera.
Una giornalista virtuosa di Repubblica, che non si dica che i giornalisti non fanno il loro lavoro, è andata a intervistare una delle autrici di questi insulti, l'unica abbastanza stupida da rendersi reperibile: già questo bastava per capire che non si tratta di una cima e neppure di qualcuno abituato a Internet.

Da questa intervista si evince che la signora in questione (di cui si ribadisce nome, cognome e indicazioni di residenza, informazione giornalisticamente irrilevante in questo caso, ma bullisticamente preziosa), sarebbe una contadina del sud, ignorante, povera, pure trascurata dal marito, e che si scusa tanto. Non sa bene perché l'ha fatto.
Dopo questo articolo è stato il turno dei commentatori, quelli che mettono a disposizione del pubblico intelligente le loro intelligenti riflessioni, e hanno tutti riflettuto più o meno la stessa cosa: ecco, il bullismo in rete, roba da ignoranti, frutto dell'insoddisfazione dei ceti bassi. Insomma, niente di cui preoccuparsi, non tutti possono essere al top. Difendiamoci con la comprensione e la pia immedesimazione: i casi umani esisteranno sempre. La soluzione? Non certo fare i dittatori con Facebook, che poi rischia che toglie visibilità anche ai ponderati insulti nostri: miglioriamo le scuole invece, creiamo dei punti d'ascolto del bracciante, insegniamogli la netiquette invitandolo in parrocchia, e gli diamo anche la merenda.
Tutte iniziative nobili, che avranno sicuramente un effetto positivo. Nel 2060, quando di Facebook si sarà anche persa la memoria.
Peccato che Selvaggia Lucarelli abbia già scientificamente dimostrato (si tratta di un esperimento condotto su un buon numero di persone e per un tempo prolungato) che non tutti i bulli sono come la signora in questione: tra le donne che aggrediscono gratuitamente con insulti sessisti altre donne, e persino i loro figli, ci sono ragazze che fanno l'Erasmus, molto carine e corteggiate, di quelle che mettono anche la foto della piazza con le scarpe rosse sul loro profilo. Sanno usare internet benissimo.
Cosa facciamo per queste qua? Un circolo di meditazione trascendentale nei magazzini di Prada affinché si diano una calmata?
screen shot di conversazione fb
La Lucarelli ha anche dimostrato un'altra cosa: la migliore cura per il bullo consiste del bullizzarlo. In tal caso il bullo spesso si trasforma, ergendosi a paladino contro il bullismo, soprattutto quello perpetrato contro di lui. Anche la signora della Boldrini, finita bullizzata, ha commentato su quanto fosse brutto e inumano che ora gli insulti la gente li scrivesse a lei, e probabilmente la prossima volta che vorrà insultare qualcuno si farà prima un profilo falso. Ma le tremerà la mano lo stesso.
Certo, la legge del taglione è grezza, così dice una vecchia teoria. Ma lo sono anche i bulli, il cui primo problema è la maleducazione, e a tale proposito vorrei protestare contro l'idea che a essere sboccato e aggressivo debba essere per forza un povero e ignorante. Perché, alla fine, è quello che sottintendono i signori della casta comprensiva, tutti intellettuali di sinistra, ai quali bisognerebbe ricordare che il povero e ignorante potrà anche non sapere il teorema di Pitagora, ma non si capisce proprio perché non possa essere una persona per bene come chiunque altro.
Se invece vogliamo fare una diagnosi di frustrazione, è ora che qualcuno si accorga che ci si può sentire frustrati anche con soldi e cultura, anche da giovani e piacenti, soprattutto quando siamo indotti a guardare continuamente persone che, per quanti sforzi noi facciamo, finiscono sempre per essere più belle, più ricche e più piacenti di noi.
Ho due idee, da buttare lì: non è che il problema vero poi finisce che è la cultura, nel senso di quella competitiva? Oppure che, in un mondo fatto apparentemente di persone che passano il tempo a guardare tutti, nessuno guarda me? Non vorrei che alla base del bullismo in rete ci fosse non la posizione sociale, non l'ignoranza, ma il bisogno trasversale e disperato di attenzione a qualunque costo, un urlo che dice: "Ci sono anch'io, sai? Ti ho fatto male? Mi vedi adesso? Bene!" Perché mi pare che qualunque altra cosa io faccia, anche ammirevolissima, finisco sempre per essere trasparente. Perché se a scuola salvo un mio compagno che si stava buttando dal balcone, a intervistarmi passa solo il giornalino dei boyscout, ma se lo butto dalla finestra arriva lo staff di canale 5 e quello della Rai e mi trovo presto circondato da persone che mi parlano con voce suadente cercando di convincermi che la vita è bella e io ho delle chance. Perché a furia di occuparci dello stronzo, si è fatto sì che la persona buona sia considerata perdente.
La giornalista non ha chiesto alla signora-caso-umano: "Lei, ha mai fatto del bene a qualcuno, una volta?" ha preferito "umanizzarla", insistendo sulla scenetta del maiale che la signora deve riportare in porcile ogni sera dopo il lavoro nei campi. 
I modi veloci e infinitamente replicabili per ottenere attenzione li hanno imparati tutti, intelligentoni e stupidoni, e senza neppure un programma di diffusione nelle fabbriche e nelle scuole. Bisognerebbe indagare su come questo sia accaduto, così da poter applicare il metodo anche ad altro.
Forse non è il caso di liquidare tutto con il solito atteggiamento di pietosa sufficienza, primo perché è un atteggiamento che nasconde strafottenza e a lungo andare se ne accorge anche l'ignorante, che poi se ne ricorda quando è ora di votare; secondo, perché questo atteggiamento, che si traduce in nessuna reazione concreta, obbliga chi subisce violenza a difendersi nel solo modo che sollecita attenzione, paura e di conseguenza rispetto: con altra violenza.

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